I MIEI LIBRI

Capitolo II - TRANSURFING VIVO - OLTRE CONFINI DELLA MATRIX - RISVEGLIATI DALL’INCUBO (Vadim Zeland)


Il fine:

un percorso o un punto d’arrivo?


«Negli ultimi otto-dieci anni sono alla ricerca della felicità, del successo e della festa della vita. Dopo aver iniziato a leggere i suoi libri, ho trovato quello che stavo cercando e i primi due mesi era tutto meraviglioso, la vita era diventata magnifica, ero diventato profondamente sicuro di poter scegliere una qualsiasi variante. Ho capito il significato dell’unità dell’anima e della ragione e il mio potenziale energetico era al massimo. Grazie ai suoi libri sono passato a un nuovo lavoro. Tuttavia dopo un po’ è successo qualcosa, la festa è finita nonostante io seguissi i suoi consigli continuamente, tanto da averli resi abitudinari. Ora non è più come prima: l’importanza interna ed esterna oscillano continuamente, io cerco di trovarmi sempre in uno stato di consapevolezza ma non riesco in alcun modo a ridurre l’importanza; il timore verso il futuro è aumentato, tutto mi sfugge di mano, non posso fare nulla che valga la pena di fare, sento un peso nell’anima… È come se mi trovassi in coma profondo. La negatività mi si incolla addosso, nonostante io faccia regolarmente esercizio fisico, presti attenzione ai canali energetici e mi nutra di cibi sani e gustosi, che in realtà non mi procurano alcun piacere. Esisteranno dei metodi di programmazione del subconscio che aiutino a uscire da questo stato oppressivo?».


Una delle cause principali dell’apatia è l’assenza di uno scopo nella vita. Quando non si ha nulla cui aspirare subentra un calo di forze e la coscienza affonda in uno stato di sonnolenza. Per contro, quando si ha il desiderio di realizzare qualcosa, l’energia dell’intenzione si attiva e aumenta la vitalità.


Se tutto va male, bisogna trovare un obiettivo e prefiggerselo. Senza uno scopo anche l’esistenza diventa senza scopo, amorfa. Come inizio, lei può prefiggere come scopo se stesso, può decidere di occuparsi di se stesso. Pensi, che cosa le può procurare autostima e soddisfazione? Ci sono molti modi per migliorare se stessi: può perfezionare il suo aspetto, esercitare la sua intelligenza, la sua forma fisica ecc. Può prefissarsi lo scopo di ottenere un miglioramento sotto uno o più aspetti. Lei sa meglio di tutti che cosa le può procurare soddisfazione. Segua questo fine e allora arriverà anche la gioa di vivere e tutto il resto si sistemerà automaticamente.


«Dopo aver letto il suo libro, mi sono interessato alle questioni che lei tratta. Ne è venuto fuori che io vivo già felicemente secondo i principi del Transurfing, per esempio riesco benissimo a ridurre l’importanza degli eventi. Tuttavia a tutt’oggi non riesco a trovare lo scopo della mia esistenza. Tutto quello che voglio sono desideri piccoli, mercantili, che, detto per inciso, non si accordano molto con quello di cui mi occupo ora. Teoricamente vorrei viaggiare molto, vivere una lunga vita in perfetta salute, lavorare poco (lavorare non mi piace in generale), avere un buon stipendio, vivere con mia moglie ma avere molte altre donne belle a disposizione, godere di successo nel mio ambiente. In questa prospettiva mi posso rappresentare facilmente. Ma la mia domanda è questa: può tutto ciò essere considerato un fine? Se sì, viene fuori che dovrei divorziare da mia moglie, lasciare il lavoro dove mi offro tranquillamente “in affitto”, procurarmi da qualche parte un sacco di soldi e comprarmi un biglietto per fare il giro del mondo… D’altra parte, però, anche adesso non sto poi così male… Per farla breve, non so cosa voglio, e per questo ora come ora non so a cosa aspirare. Cosa devo fare?».


Per iniziare dovrebbe fare quello che le riesce già bene e cioè ridurre l’importanza del fine stesso. Perché ha deciso che, senza un fine, non può esserci alcuna esistenza, dato che lei già così non vive male? Si può benissimo vivere tranquillamente, senza scervellarsi troppo a ricercare i propri fini in categorie di “alta levatura spirituale”.


Se invece proprio vuole ricercare la sua strada, faccia riferimento alle basi del Transurfing. Per definizione, il vostro obiettivo, è ciò che renderà la vostra vita una festa. Il quadro che lei ha descritto si presenta veramente come una festa. Ma cosa potrà portarla là? Spaccarsi la testa, cioè cercar di “calcolare” il proprio scopo per vie logiche è inutile. La soluzione deve arrivare da sola, nell’unità della ragione e dell’anima, quando l’anima incomincia a cantare e la ragione comincia a fregarsi le mani per la soddisfazione. Affinché la soluzione arrivi, basta solo proiettarsi in testa la diapositiva della festa e osservare la realtà. A un certo punto si accorgerà che dal nulla si affacceranno nuove opportunità, si apriranno quelle porte che la condurranno alla sua festa. Oltrepassi queste porte, continui a proiettare la sua diapositiva, e ancora una volta osservi quello che succede. Si immedesimi nella realtà della festa ed essa l’accompagnerà sempre.


«Il fine deve essere uno solo, globale? Oppure si possono anche avere fini modesti?».


Se lei riesce a creare e a proiettarsi sistematicamente in testa una diapositiva plurifinalizzata o alcune diapositive singole, non c’è problema, è lei il padrone della sua realtà. Può prefissarsi tutti i fini che vuole, o, più precisamente, tanti fini quanta sarà la pazienza che lei avrà per lavorarci sopra. Con i fini a lungo termine bisogna veramente lavorare sodo. Mentre con i fini a breve termine, o istantanei, come per esempio quello di un autobus da far arrivare o un parcheggio da trovare basta solo andare a prenderseli, letteralmente come si fa quando si va all’edicola per comprare il giornale, senza un attimo di esitazione e senza dubitare di trovarlo. Beh, se poi non lo trovasse, l’importante è che non si faccia prendere dall’irritazione e che sappia rinunciare al fine con serenità. Non si dimentichi il principio della coordinazione dell’intenzione. Chi lo sa da quali potenziali problemi si è salvaguardato?


«Purtroppo, non riesco a realizzarmi in attività creative e più precisamente non riesco a trovare quell’attività che possa trasformare la mia vita in festa. Per quanto banale possa suonare, il mio obiettivo è il benessere materiale o in altre parole, l’indipendenza finanziaria. Mi sono creato la diapositiva del fine e so cosa voglio ottenere in questa vita: macchine, casa di lusso, viaggi, yacht… Sono attivamente alla ricerca di tutto ciò che è legato all’oggetto del mio benessere, e allo stesso tempo mi ritrovo a pensare alla mia costante mancanza di denaro per poi riprendere a cercare ancor più attivamente i modi per guadagnarlo. Il problema è che sarei felice se avessi in tasca denaro sufficiente per mangiare nei miei ristoranti preferiti, rilassarmi con gli amici nei migliori locali notturni della città, vestirmi in boutique costose e darmi alla pazza gioia. Visualizzo tutto ciò ma non vedo alcun risultato. Anzi no, qualcosa c’è! Vedo che il mio mondo si preoccupa per me, questo non posso negarlo, ma sul piano delle finanze non tutto va come voglio io… Come si può uscire da questa fossa di reddito medio basso?».


Lei è alla ricerca di “un’attività che possa trasformare la sua vita in una festa”, ma non deve cercare un’attività sibbene concentrarsi su ciò che lei vuole ottenere come risultato. La festa della vita, del resto, può essere benissimo un fine, perché no? È un fine più che dignitoso. Proprio qui deve concentrare la sua ragione, così poi l’intenzione esterna stessa le offrirà un’adeguata attività. Dovrà solo tenere gli occhi ben aperti per non farsi sfuggire le porte che si apriranno.


Il suo problema è che lei non riesce a liberarsi dal pensiero: in che modo otterrò tutto ciò? Nessuno lo sa e nessuno lo può sapere. La ragione si deve abituare al fatto che la soluzione di questo problema non è affar suo. Il compito della ragione è quello di proiettare sistematicamente la diapositiva del fine, proprio quel quadro che lei hai disegnato. Si viva questa vita virtualmente, però non lo faccia per finta, come amano fare i bambini e i sognatori, ma con la ferma convinzione che prima o poi tutto ciò sarà tradotto in realtà. Non si preoccupi di come e quando questo quadro verrà materializzato. La realtà si adeguerà inevitabilmente ai suoi pensieri, non ha altro scampo! Infatti, lei ha a che fare con uno specchio. Per il momento, però, i suoi pensieri sono interamente assorbiti dalla ricerca di una risposta alla domanda: come? Proprio quest’infruttuosa ricerca si riflette nello specchio del suo mondo.


«Il mio problema è che non ho alcun fine. E non riesco nemmeno a disegnarmelo o a elaborarlo, per quanto fortemente mi stia sforzando. D’altra parte non voglio prendere a prestito e impormi qualche bella immagine (altrui). Ho sempre avuto paura di pensare a desideri globali. E sa perché? Perché non avevo mai la piena sicurezza che questi desideri mi servissero veramente al momento di essere esauditi. Per questo motivo ho sempre nuotato passivamente seguendo la corrente. L’opzione “rompere con il solito per superare se stessi” mi è sempre stata estranea. Ho scelto per me stessa un cammino passivo. E la mia domanda è che non so proprio come procedere (seguendo la sua teoria), se non riesco fin dall’inizio a compiere il primo passo, ovvero: definire il mio scopo. Sono d’accordo con i principi di movimento lungo la vita. Ma come devo comportarmi se ho già 33 anni e non ho ancora un mio obiettivo? Non solo, sono arrivata al punto di reagire agli stimoli del mondo in modo “ottuso”, utilizzando parametri del tipo: “la situazione mi crea disagio o no”.


Sono stata per due mesi senza lavoro (ho lasciato il mio posto perché mi aveva annoiato tutto quello che facevo). Ora ho un lavoro nuovo, che pare offrire delle prospettive (ed era proprio quello che sognavo, prima di lasciare il mio lavoro precedente), tuttavia mi turbano le mie sensazioni di “disagio”. Tra l’altro mi rendo conto che se guardassi alla situazione in modo diverso, queste sensazioni sparirebbero. Ma in questo caso compirei uno sforzo e cambierei intenzionalmente il mio modo di rapportarmi alla situazione. E allora come la mettiamo con il discorso di “ascoltare la propria anima”? Insomma, ho una gran confusione in testa».


Primo errore: non bisogna “sforzarsi di disegnare o elaborare in qualche modo il proprio fine”. Lei infatti non sarà in grado di raggiungerlo con gli sforzi della mente fino a quando non comprenderà, quanto meno in caratteri generali, cosa vuole dalla vita.


Secondo errore: non c’è bisogno di “costringere se stessa a guardare alle situazioni in modo diverso”. La confusione risiede nel fatto che un cambiamento consapevole di atteggiamento deriva dal principio della coordinazione dell’intenzione: grazie a questo principio lei, con la sua volontà di Arbitro, può trasformare un qualsiasi evento negativo in positivo, quasi fingendo che ciò possa andare a suo vantaggio. Così facendo lei cambia il suo rapporto verso l’evento, giacché sa che a seconda della sua scelta al bivio finirà per capitare o su una diramazione favorevole della linea della vita o su una sfavorevole. Per contro, cambiare il modo di rapportarsi alla situazione è effettivamente assurdo e proprio per questo lei non vuole farlo. E perché mai, infatti? Così facendo, lei dovrebbe, ad esempio, costringersi ad amare un lavoro che non le piace.


Cosa fare con la sensazione di disagio in una situazione, cioè, in una realtà, che continua a essere in atto? Consiglio di concentrarsi su come lei vorrebbe vedere questa realtà, trascurando tutto ciò che le provoca disagio. Facciamo un esempio: su di lei, al lavoro, fanno ricadere delle responsabilità che a lei non piace avere, nonostante il suo lavoro, in generale, la soddisfi. Come comportarsi in una situazione del genere? Si crei nei pensieri una realtà virtuale in cui lei esegue solo quelle funzioni che vuole eseguire. Focalizzi l’attenzione su quello che le piace, e guardi il resto “con gli occhi socchiusi”, cercando di darsi in affitto per un tempo sufficiente. Prima o poi la realtà effettiva si conformerà alla diapositiva che lei ha creato, e le responsabilità indesiderate “cadranno” da sole. In che modo, lo vedrà. Così funziona lo specchio del mondo. Verificato.


«Per quanto tempo una persona può non riuscire a trovare il proprio fine? Un anno, due, dieci? Per quanto mi riguarda, mi va tutto va bene, non ho problemi, ma sullo sfondo di questo benessere generale non riesco a cogliere l’esultanza dell’anima verso qualche fine esistenziale. Vedo tutto come non mio. So che solo io posso trovare il mio obiettivo, e so anche che ci si deve permettere di vivere per un po’ di tempo anche senza un fine. Ma quanto può durare questo periodo di tempo? Forse anche vent’anni, o cinquanta? Mi rendo conto che questa “perfida” ragione non è in grado di rilassarsi tranquillamente e mettersi ad aspettare. E che è proprio la ragione a inoculare l’angoscia e la paura di restare senza un fine. Anche se ora nella mia vita tutto è a posto, non mi dà tregua il desiderio di definire il mio obiettivo. Ho voglia di trovare questa festa dell’anima di cui si parla. Forse esistono altri modi per definire l’obiettivo della mia vita?».


È vero, si può aspettare a lungo, a volte un’intera vita senza che si arrivi a una conclusione. Se la palude della routine quotidiana l’ha inghiottita, se lo scenario della vita si ripete di giorno in giorno senza cambiamenti, che cosa potrà accadere? Niente. La maggior parte delle persone vive proprio così: prima lo studio, poi le speranze di trovare una felicità più avanti, nel futuro, poi la famiglia, un lavoro senza grandi cambiamenti, ancora una volta le speranze di successo, che è sempre là innanzi ad ammiccare, lontano lontano, i lavori domestici, gli intrattenimenti poco frequenti e senza pretese, ancora una volta la famiglia, la routine, il divano, la tv. La vita passa proprio così, “in sala d’attesa”. Come si può uscir fuori dal ciclo della quotidianità? Innanzitutto bisogna avere l’intenzione di rompere. In tanti credono di voler cambiare, ma di fatto la loro intenzione non è seria e preferiscono lamentarsi della vita, lagnarsi del suo grigiore e della sua mancanza di vie d’uscita. Noti bene, però: le persone di successo, quelle che lei vede ogni giorno alla televisione, hanno uno stile di vita molto attivo. A lei la scelta: o si dà da fare e investe determinati sforzi per cambiare la situazione, o si deve accontentare di una esistenza monotona (che per molti è, in linea di principio, un’alternativa tollerabile), ma allora non si dovrà lamentare per un fine che non prende forma.


Un altro discorso è come avere l’intenzione, se mancano la forza e la volontà di agire, se l’età non è più quella di prima o, più semplicemente, si è in balia della pigrizia. Se non si vede l’ora di stendersi sul divano dopo il lavoro, significa che manca l’energia libera, che è di fatto la principale fonte di alimentazione dell’intenzione. Non si può non voler niente, quando il potenziale energetico è nella norma. La causa principale di un basso livello di energia, se non si conta l’assenza di un fine, è la forte intossicazione dell’organismo (una causa molto prosaica).


Non occorre prefiggersi immediatamente il compito “di conquistare l’Everest”, o di porsi un obiettivo “degno” per il solo motivo che così dovrebbe essere. È meglio iniziare da cose elementari e al contempo necessarie per migliorare il potenziale energetico: ripulire le proprie “condutture”, seguire una dieta sana, dedicarsi al miglioramento della propria forma fisica. Vedrà allora che compariranno nuove esigenze, e l’energia per la loro soddisfazione sarà sufficiente. Beh, se invece si è troppo pigri per iniziare una qualsiasi cosa, allora anche il Transurfing “da divano” non potrà essere d’aiuto.


«Ho letto tutti i suoi libri e ho trovato risposte a tutte le mie domande. Eccetto una: QUAL È IL MIO FINE? Mia moglie è un’artista professionista e di talento. Lei già a tre anni sapeva che sarebbe diventata un’artista. Il suo fine è quello di diventare una grande artista, e a questo fine sta andando gioiosamente incontro. Io la INVIDIO, perché non ho una chiara comprensione di cosa voglia la mia anima».


Il suo obiettivo non si deve necessariamente trovare nella sfera della creatività. Perché mai, quando si parla del cammino personale, si finisce immancabilmente per convergere su materie sublimi? Non c’è alcun bisogno di orientarsi su un primo fine “alto”. Qualcuno non può pensare all’esistenza senza poesia, ma per qualcun altro spazzare le strade o tritare la carne sono attività piacevoli. Non bisogna conformarsi allo stereotipo in base al quale il fine della vita deve essere per forza un qualcosa di nobile.


Ai miei tempi, quando si chiedeva a un bambino cosa avrebbe voluto fare da grande, il bambino sapeva che avrebbe avuto l’approvazione degli adulti rispondendo: «Voglio fare l’astronauta». La sua ragione conosceva perfettamente “la risposta giusta”, mentre quello che non sapeva era se volesse davvero diventare un astronauta. Mi capisce? La ragione è orientata sin dall’infanzia, il punto di assemblaggio (secondo l’espressione di Castaneda) è impostato nella posizione “giusta”. Il suo obiettivo ora, è quello di annientare l’orientamento che le è stato imposto e garantirsi un “reset”.


A questo fine occorre smettere di riflettere sull’obiettivo e cominciare invece a osservare, a prestare attenzione ai sentimenti dell’anima. Quando l’anima vedrà “il Suo”, si risveglierà immediatamente. Ma affinché ci sia di che osservare, dovrà allargare i suoi orizzonti: andare dove non è mai stato, guardare quello che non ha mai visto.


«Leggo i suoi libri per la terza volta, e ogni volta percepisco gli stessi pensieri in modo nuovo, ed esulto dalla gioia: “Ecco come vanno le cose veramente!”. Grazie al Transurfing ho già avuto un sacco di risultati: lavoro alle condizioni che avevo sempre voluto e con persone interessanti, ho uno stipendio molto alto, so procurarmi altri eventi meravigliosi. Però ho un problema che mi fa soffrire già da cinque anni. Ho un Fine e so che è mio, sento che è così. Tuttavia non riesco a sbarazzarmi dal pensiero di non essere in grado di materializzarlo nella mia vita. Questo mi provoca un forte disagio. Perché ho questo tipo di pensiero, se io so che il Fine è Mio? Oppure questa situazione è un indizio preciso di un mio errore e di una mia interpretazione sbagliata? Ho già abbassato al minimo l’importanza, ma non cambia niente. Ho pensato che forse ciò dipende dal fatto che quando ero piccola mi dicevano sempre: “Gli altri non otterranno nulla, invece tu avrai tutto”. Forse da qui sono arrivata alla conclusione che gli altri avranno la felicità e godranno della realizzazione dei loro sogni mentre a me questo non sarà dato? Da una parte non posso pensare di restare senza questo mio Fine, dall’altra qualcosa mi impedisce di credere che riuscirò veramente ad attirarlo nella mia vita! Non so proprio come liberarmi da questa sensazione… ho provato a sostituire il mio Fine con un altro, quasi analogo, ma non ho provato alcuna gioia particolare, anche se in questo caso non avevo alcun dubbio che avrei ottenuto tutto senza problemi. Quando mi immagino che posso restare senza il mio Fine principale, come se l’avessi perduto veramente, provo tanta sofferenza!».


È bello sapere che i tuoi libri vengono letti più di una volta. C’è però anche chi mi rimprovera di ripetere lo stesso pensiero più volte. È vero, lo ammetto. Perché lo faccio? Lo confesso onestamente: non c’è alcuna intenzione premeditata e non è neanche un errore di lavoro. Quello che espongo, non è il prodotto delle mie riflessioni ma è quanto mi viene trasmesso dallo spazio delle varianti attraverso il canale di informazione. Trasmetto l’informazione così come mi arriva, senza grandi modifiche, perché vuol dire che così dev’essere trasmessa.


La differenza tra me e lei sta solo nel fatto che lei intende ottenere risposte alle sue domande da me, e io invece mi rivolgo a una banca dati che è accessibile a tutti. Anche lei può avere accesso a questo canale, se ha intenzione di prendersi le informazioni da sola. Non è la prima volta che lo dico. In linea di massima quasi tutte le risposte si possono trovare nei primi libri del Transurfing. Tuttavia in tanti continuate a pormi le stesse domande così mi tocca ripetermi di nuovo, anche se varia il punto di vista. Ora però sto già divagando…


Lei ha provato sofferenza immaginandosi di rimanere senza il suo Fine. Questo è una testimonianza a favore del fatto che il fine cui lei pensa può davvero essere il Suo. Nei primi libri del Transurfing si è già riportato uno dei criteri per riconoscere l’autenticità del fine: provi a immaginare di dover rinunciare al proprio sogno. Se l’anima, in questo caso, si agita selvaggiamente e si ribella, molto probabilmente il fine è proprio il Suo. Se invece prova un senso di sollievo, capirà bene cosa significa.


Più in generale, il disagio al pensiero che sia difficile realizzare un fine è un fenomeno normale. Ma le sue sofferenze erano più forti del disagio, giusto? Allora non deve perder tempo a riflettere, ma deve impegnarsi in un lavoro concreto, far girare la diapositiva del fine. Quando le porte cominceranno ad aprirsi, verrà il turno delle conclusioni: si chiederà allora se il sogno è realizzabile o meno. Per ora questo non è un oggetto di discussione: adesso come adesso lei dovrà lavorare con la diapositiva e avrà bisogno di pazienza, tempo e consapevolezza, per non rischiare di mancare le porte che si possono aprire.


«Attualmente mi sto occupando di cercare quello che piace alla mia anima e mi barcameno tra tante direzioni. Da un lato mi piace disegnare, dall’altro cucire e lavorare a maglia, da un altro ancora mi piace occuparmi di fiori. Questi sono gli indirizzi principali, il resto non lo metto neanche in conto. Di qui la mia domanda: può l’anima avere più di un interesse preferito da sviluppare massimamente fino a raggiungere alti livelli?».


La questione qui non è tanto quanti fini può avere l’anima e, tra i tanti, quali considerare il principale. È meglio concentrarsi su una sola direzione, per non frammentare l’intenzione. L’hobby è un’attività che si ha piacere di fare. Ci sono un sacco di hobby. Ma può un hobby diventare un fine? È vero che il movimento verso il fine deve procurare gioia. Tuttavia, l’attrattiva dell’attività di per sé non è condizione sufficiente per considerare quest’attività un fine. Ripeto, il fine è ciò che trasforma la vita in una festa. Inoltre, il fine deve definirsi nell’unità di anima e ragione. Si chieda: potrebbe trasformare la vita in festa un’attività che, come a lei sembra, potrebbe servire da fine e da porta? Le deve essere assolutamente chiaro che l’attività scelta è esattamente quello che le serve, sia secondo la logica delle cose, sia secondo i comandi del cuore. Se il fine è il suo, non sorgeranno più domande perché per lei sarà ovvio.


«Non sono sicura che il fine che cerco di raggiungere sia il mio (quello che vuole davvero la mia anima). Sto cercando di prestare attenzione allo stato del mio benessere spirituale e di mettermi in ascolto del “fruscio delle stelle del mattino”, ma ho dei dubbi sul fatto che si tratti davvero di un sentimento che provenga da lì e che non sia piuttosto il desiderio della furba ragione, che semplicemente “cospira” (per farmi credere quello che non è)».


Se il fine è veramente il suo non dovrebbe avere alcun dubbio. All’inizio le sue sensazioni potrebbero essere attaccate da una sorta di rigidità mentale o timidezza, accompagnata da dubbi del tipo “ma possibile che sia tutto per me, che io sia degna di tutto questo, possibile che io sia in grado di meritarmelo, che sia proprio io l’eletta?”. La rigidità va eliminata con la diapositiva del fine. A poco a poco si abituerà alla sua nuova immagine. Non deve essere imbarazzata. Certo che lei è un’eletta, dal momento che lei ha scelto se stessa. Perché all’inizio lei sceglie se stessa, e solo dopo e solo a questa condizione, viene scelta lei.


Il malessere spirituale, a differenza della rigidità, non si può eliminare con la diapositiva del fine. In presenza di un forte malessere si prova un senso di depressione, peso, di necessità opprimente, tristezza, paura, ansia dolorosa. Se lei si sente sempre oppressa quando fa scorrere nei suoi pensieri l’immagine del desiderio già raggiunto significa che il fine non è autenticamente suo, le può essere stato imposto da qualche pendolo, il che vuol dire che piace non alla sua anima ma alla sua ragione.


«La ragione delle mie sventure sta nel fatto che mi trovo a fare sempre quello che non voglio. E quello che voglio, per qualche motivo (che non riesco a spiegarmi) mi diventa subito poco interessante. Per questo salto da un lavoro all’altro, da una sfera professionale all’altra. E poi lascio e me ne vado. Qualcuno dice che sono infantile e non sono abituata a far fronte alle difficoltà; qualcun’altro mi dice che ho un carattere troppo esigente e sono scontrosa con i capi. Ho lavorato come psicologa con bambini e tossicodipendenti, poi ho lavorato come direttore del personale in una piccola azienda, poi come direttrice di un negozio, poi come responsabile vendite in un’azienda che tratta il metallo… Ora ho deciso di aprire un’attività in proprio. Ma è un piccolo “business”. Probabilmente credo ancora poco nelle mie forze. Nel mio giro di amicizie nessuno si occupa di affari in proprio, sono tutti abituati a lavorare “per qualcuno”. Ho molte ambizioni, ho sempre creduto di essere venuta a questo mondo per dover creare qualcosa di molto importante.


Formulo la mia domanda: come faccio a diventare armoniosa e a trovare me stessa? Voglio tante cose dalla vita ma tutto poi risulta non essere “la cosa giusta”. Perché? Noia, questa è la sensazione che provo ogni volta che qualcosa comincia a funzionare. Voglio sempre qualcosa di più, e ancora di più, ma il risultato è lo stesso: noia! Mi stancano i ruoli di “braccio destro del direttore”, moglie, madre, donna bella, intelligente, sexy… Non mi piace nulla di quello cui ambisce di solito la gente, non posso sopportare i modelli e gli standard. Forse sono malata? Poi però penso che in qualcosa non sono riuscita, o sono riuscita male, e finisce anche che me ne dispiaccio… Adesso, finalmente ho osato fare il grande passo: aprire un mio negozio. Ma chi mi può garantire che anche questo tra un paio di mesi non mi stufi? E allora cosa faccio, ho fatto un lavoro a vuoto? Insomma, mi spari, sono pazza!».


Ma non ha mai avuto il pensiero di essere già una persona armoniosa? Innanzitutto lei non è come gli altri, giacché non le piace quello cui gli altri aspirano. Questo è già meraviglioso! Questo indica che lei, come minimo (ed è già non poco), non è vincolata a stereotipi, è libera dall’influenza dei pendoli. Lei non è pazza, lei è di nessuno, così la definirei. E questo è già metà dell’opera per diventare “se stessa”. Quando una persona non è di qualcuno ma è solo di se stessa, è un Arbitro della realtà. Si può davvero considerare armonioso un elemento della matrix, rinchiuso nella sua celletta, come tutti gli altri? Al contrario, miseri sono coloro che obbediscono alla regola del pendolo: «Sii come tutti noi, che siamo persone normali, trovati la tua celletta e non svolazzare da un posto a un altro, diventa un membro utile della nostra società».


Le è rimasto il minimo da fare: scrollarsi di dosso gli ultimi residui dell’ottusa visione del mondo dei sognatori e permettersi di essere così “inconcludente” (dal loro punto di vista). Si arroghi il diritto di avere un suo punto di vista e allora non si sognerà nemmeno di accusare se stessa e di nutrire dubbi del tipo: “Forse sono veramente inutile e malata, dato che non riesco a fermarmi a lungo in uno stesso posto?”.


In secondo luogo, il fatto stesso che lei non si ritrovi rinchiusa in una celletta della matrix significa che lei sta già capendo nel modo giusto, anche se vagamente, che il fine è una strada, non un punto d’arrivo. Cerchi la sua strada, il suo percorso, per tutto il tempo che le serve, senza girarsi indietro e prestare ascolto all’opinione pubblica. Lasci che gli altri pensino di lei quello che vogliono. Lei, dal canto suo, sa chi è libero e chi non lo è, e proprio qui stanno il suo vantaggio e la sua forza.


Tra l’altro condivido con lei questi pensieri sovversivi rigorosamente in segreto, detto tra di noi, transurfers. I sognatori non leggono questi libri, quindi io non ho nulla da temere. Lei però non racconti alcunché a nessuno! Altrimenti qualcuno penserà che lei (noi) è pazza (siamo pazzi), e magari vorrà colpirla. Non mostri di essere diversa. Finga di essere come tutti. Si dia in affitto, ma non si ceda tutta per intero.


«A 12 anni sono finita in una setta e ci sono rimasta fino ai 19 anni (è successo ancora in epoca sovietica). La setta non era di orientamento religioso e a quel tempo nessuno la considerava una setta, nonostante ne avesse tutte le caratteristiche ed esse fossero palesi. L’obiettivo di questa setta era la cura di malattie psichiche e dipendenze come la schizofrenia, l’alcolismo, la tossicodipendenza. Ci occupavamo di rieducare i minorenni che finivano in riformatorio, gli adolescenti difficili. Noi, ragazzini, prendevamo parte a questi processi che ci dovevano preparare al lavoro di psicologi. Finita la scuola, ho lavorato per due anni in una clinica per la cura degli alcolisti e degli schizofrenici. Lì, ovviamente, ho subito un lavaggio del cervello: cercavano di inquadrarci secondo precisi standard, non potevamo esprimere opinioni personali, eravamo obbligati a socializzare esclusivamente all’interno del gruppo e a evitare i contatti con l’esterno. A 19 anni me ne sono andata.


Ora ho 40 anni, ma l’esperienza di allora mi ha segnato per la vita. Il problema è che sono abituata a fare tutto per gli altri, il fine superiore è aiutare i sofferenti, gli orfani, per esempio. Solo di recente ho cominciato a capire che questa non è una posizione giusta, che bisogna pensare a se stessi. In tutto questo tempo mi sono sempre messa alla fine, all’ultimo posto. Per non parlare poi del complesso di inferiorità.


Ecco la mia domanda: come può agire la tecnica del Transurfing su persone come me? Ci sono degli approcci particolari? Inoltre temo di non riuscire a individuare il mio fine, ho paura di scambiare per mio fine quello che mi hanno inculcato in questo gruppo. Prima pensavo che aiutare le persone, soprattutto i bambini, fosse il mio fine. Siccome sono capitata in questa “setta” quando ero ancora una ragazzina, faccio fatica a ricordare i desideri che avevo prima di questo momento, perché avevo sicuramente dei sogni e forse farei meglio a orientarmi su di essi e non sui fini che mi hanno inculcato e che probabilmente sono dei fini falsi».


Nel libro Il Transurfing della realtà è scritto dettagliatamente come distinguere il proprio fine da quello imposto dagli altri. Uno dei criteri più importanti è il seguente: un fine altrui serve a migliorare il benessere altrui (non il vostro). È evidente che è necessario adoperarsi per una situazione in cui si lavora per se stessi, e non per il datore di lavoro. Tuttavia, muovendo verso il proprio fine, è possibile lavorare anche nel sistema. Solo che, in questo caso, il miglioramento del proprio benessere personale deve stare al primo posto. È molto importante provare un senso di libertà, sentire che non ci si fa in quattro a beneficio di qualcuno o qualcosa.


Può succedere che la cura per gli altri venga dal cuore. Qui però bisogna fare attenzione, c’è un limite molto sottile, difficile da cogliere: non è che la sua aspirazione a dedicare la propria vita alla salvezza di altre anime possa essere dovuta al vuoto della sua stessa anima? Succede molto spesso che la ragione, zombizzata dai pendoli, rinchiuda l’anima nel ripostiglio e smetta di udirla, fatto che porta inevitabilmente a un conflitto interno, e a un vuoto spirituale. E come si può riempire questo vuoto? Con il servizio, ecco come! I pendoli suggeriscono subito di negare se stessi, di dimenticarsi di se stessi e rivolgere tutta l’attenzione al servizio. Al servizio di chi o di che cosa? Oh, qui non c’è che l’imbarazzo della scelta: dai bambini che piangono ai ricchi, in pianto pure loro. Ovunque si guardi, tutt’intorno si vede sofferenza e bisogno.


A me, per esempio, fanno pena i vermi che non hanno la forza di strisciare da un lato della strada asfaltata all’altro. Prima li prendevo e li mettevo lì dove volevano andare. Ma un giorno mi sono detto: ma andate tutti al diavolo! Voi siete in tanti e io sono solo. Cosa dovrei fare, chinarmi come un idiota a ogni passo e aiutare i vermi nella loro migrazione invece che andarmene a passeggio serenamente? Adesso aiuto solo rari vermi, e solo quando il mio cuore mi suggerisce che “questo qui bisogna proprio aiutarlo”. Gli altri si arrangiano, può darsi che siano nati con un altro “karma”. Anche i gatti randagi e affamati mi fanno pena, mi viene voglia di nutrirli e offrire riparo a tutti. Ne ho preso uno, destinato a morte sicura, e adesso a casa mia prospera un’anima soddisfatta e pasciuta, il mio gattone. D’altra parte, se ci si pone l’obbligo di preoccuparsi di tutti gli animali infelici, si rischia di sentirsi costretti ad andare sempre in giro con un sacchetto di pesce o di trasformare la propria casa in fattoria. Di tale passo si può andare molto avanti: le idee fisse hanno il potere di sostituirsi a tutta la personalità.


Aiutare il prossimo è una cosa buona. Però ci si deve chiedere: ha un senso elevare quest’attività allo status di fine esistenziale? Ognuno può risolvere la questione a propria discrezione. Qualsiasi sia la risposta, nei differenti sistemi di calcolo essa verrà valutata in modo diverso: magnanimità o stupidità, atto di altruismo o atto sconsiderato, cinismo o convenienza. E anch’io a questo proposito non posso dare una risposta univoca. L’importante è che la decisione sia stata presa con consapevolezza, nell’unità di anima e ragione, e non ventilata dai falsi stereotipi dei pendoli. Una cosa si può affermare con certezza: se la cura degli altri è indotta dall’esterno, si tratta di un fine altrui.


«Il mio sogno costa carissimo e si trova lontano, nello spazio delle varianti. Io cerco sempre di visualizzarlo. Ma lei dice che non bisogna pensare ai soldi. Io e mio marito abbiamo sempre lavorato per qualcuno, anche senza rendercene conto. Ora stiamo cercando di uscire da quest’inferno, vorremmo aprire un nostro business, magari piccolo ma nostro. Per il momento il quadro si disegna a fatica, nessuno di noi ha né talento né esperienza di gestione di un business. Però c’è un fermo desiderio di cessare di lavorare per qualcuno. Si può considerare tutto ciò come “primi passi in direzione del fine”? Non vogliamo dipendere dallo stato e nemmeno lavorare solo per i soldi. Vorremmo che i soldi lavorassero per noi (potrebbero essere investimenti, buoni del tesoro, redditi da affitti ecc.). Ci stiamo sbagliando? Voglio essere ricca e indipendente. Non visualizzo i soldi, ma li voglio avere, perché il mio fine, in equivalente monetario, è alto».


I soldi non sono il fine e nemmeno il mezzo per il loro raggiungimento. I soldi sono solo un attributo che compare e si aggiunge automaticamente nel cammino verso il fine. Se per il raggiungimento del fine servono soldi, vuol dire che salteranno fuori o si apriranno delle possibilità (porte) per guadagnarli. Ma perché ciò avvenga, occorre visualizzare il fine come se fosse già stato raggiunto. Bisogna fingere per quanto possibile, e vivere in questa realtà virtuale. Non si tratta di vagare tra le nuvole, ma di fare un lavoro concreto, se si fa girare la diapositiva sistematicamente e in modo mirato. Se proprio vuole, può chiamare questo lavoro “vagabondaggio mirato tra le nuvole”. Però, da queste altezze, si ricordi di scrutare attentamente la terra, per non trascurare le porte pronte ad aprirsi.


Quindi, non bisogna pensare ai soldi ma al fine, questa è la cosa più importante. In caso contrario lo specchio del mondo rifletterà solo le sue infruttuose ricerche di denaro. Attenzione però: questo non significa che i pensieri dovranno essere completamente depurati da questioni finanziarie. Lei può, in modo altrettanto mirato, affermare il pensiero-forma: i soldi vengono a me in flusso crescente, ne ho sempre di più. I soldi bastano per tutto, posso comprarmi facilmente tutto quello che voglio. Non importa che ciò per il momento non corrisponda a realtà. La realtà si forma prima nei pensieri e poi nella vita reale.


Però mi raccomando: questo pensiero-forma non dovrà contenere né l’immagine “sto cercando soldi”, né la domanda “dove li posso prendere?”. Lei dovrà creare davanti allo specchio proprio quella situazione che deve formarsi come risultato finale (nel riflesso). In questo senso si può e addirittura si deve pensare ai soldi.


«Perché i soldi non possono essere un fine? Diciamo che mi sono posta il fine di guadagnare ogni mese una certa somma di reddito passivo. Non ho idea di come si possa raggiungere questo fine. Lavoro con la diapositiva, ma non si realizza niente, perché? Teoricamente la vita mi dovrebbe portare sulla linea dove questo si realizza. ma, da quanto ho capito dai libri, lei dice che non ne viene fuori niente. Perché?».


Le riuscirà sicuramente e stia anche attenta a non chiedere troppo poco! Il suo Fine le darà molto di più, cose che non ha nemmeno mai osato sognare. Quando una persona si muove verso il suo Fine, le si aprono davanti delle possibilità colossali. Allora le richieste di prima le sembreranno ridicole.


Non ho detto che non si possono attirare i soldi per mezzo della visualizzazione. Piccole somme di denaro si possono attirare veramente. Sarà invece poco probabile che si possano attirare somme più consistenti. Infatti serve l’unità di anima e ragione, una fede cieca nel fatto che i soldi arrivano. La ragione, però, si lascerà tormentare senza pausa dalle domande: «da dove mi arriveranno i soldi, in che modo?». E l’anima? Forse che l’anima ha bisogno di soldi?


Lei dirà: «Quando mi arriveranno, troverò il modo di spenderli e vivrò come vorrò». Ma qui sta il busillis: e come vuole vivere?


Poniamo la domanda in termini diversi: le servono i soldi o la sensazione di festa, gioia e senso della vita? Supponiamo che si sia realizzato il suo sogno: sta prendendo il sole a bordo del suo yacht che solca le acque del mar dei Caraibi. Cosa dice, pensa che in questa situazione lei proverebbe una sensazione di festa della vita? Difficile che sia così. Probabilmente proverebbe un senso di vuoto e una noia mortale. Provi a ricordare quante volte nel cammino verso il fine è stata accompagnata da una sensazione di azzardo, entusiasmo, slancio e, una volta raggiunto lo scopo desiderato, non ha più sentito nulla se non un senso di vuoto. Questo fenomeno si spiega molto semplicemente. La sensazione di felicità, gioia e pienezza della vita procura energia libera (energia d’intenzione), che si attivizza nel movimento verso il fine. Per quanto paradossale possa sembrare, si tratta più di una proprietà fisiologica che psichica. Proprio per questo la felicità si trova solo in itinere, durante il cammino e non nel punto di arrivo. Non c’è alcuna felicità nel futuro, perché essa è o qui e adesso o in un’altra linea della vita. È proprio questa linea della vita, la strada del fine, che bisogna cercare.


La strada è un cammino. Il fine qui può anche non essere obbligatoriamente un risultato concreto. Nella maggior parte dei casi è un processo continuo di autorealizzazione, di rivelazione delle proprie capacità in una qualche sfera. Se c’è movimento, c’è energia. Una volta giunti a destinazione, si va avanti.


E ora si immagini di essersi prefissa il fine di avere un reddito stabile. Supponiamo che abbia raggiunto il suo scopo e non abbia ora la necessità di guadagnare. Lei ha tutto. E come andrà avanti? Per un po’ potrà vivere spensieratamente, deliziarsi di ogni bene e di ogni meraviglia che l’agio procura. Ma presto comincerà a provare un senso di vuoto. Proprio questa sensazione attacca quei ricchi che non hanno un fine. Sono arrivati a destinazione, non hanno più una meta da raggiungere, cui aspirare, niente da volere. La vita si trasforma in un’assurda, seppur lussuosa, esistenza. Un’attesa logorante di qualcosa. Semplice sala d’attesa o sala d’attesa VIP, non cambia nulla, sempre di sala d’attesa si tratta. Forse si era più felici quando si viveva in miseria, ma ci si muoveva verso un fine! L’energia d’intenzione zampillava come una fontana e per questo si viveva veramente, non si tirava semplicemente a campare. Ecco, dunque, si ponga questa domanda: dove sta andando ora: verso la città di Smeraldo1 o verso una sala d’attesa?


«Dopo aver letto i suoi libri ho cominciato a mettere in pratica i principi illustrati, che mi hanno colpito proprio per il discorso della ricerca della propria linea della vita, dato che i discorsi sulla materializzazione non mi stupiscono più. Qui però mi sono scontrato con un problema: non riesco a capire di cosa vorrebbe occuparsi la mia anima, dove si trova quella sfera della mia autorealizzazione dove l’anima e la ragione si possono baciare per la gioia. Tutte le risposte dell’anima ai giocattoli proposti sono più no che sì. Siccome ho una certa esperienza, ho diagnosticato subito la situazione come effetto del mio forte desiderio di trovare questa mia linea della vita. Ho ridotto l’importanza, ho deciso di “andare a prendermi il giornale” ma sono passati quasi sei mesi e “il giornale”, per qualche motivo, non si fa trovare. Forse il problema dipende dal livello di potenziale energetico? Non trovo altra spiegazione. Perché non riesco a trovare la mia linea, il mio fine e, di conseguenza, la mia porta?».


Forse il problema sta nel fatto che lei si sforza proprio di cercare il suo fine. Cioè non è l’anima che lo fa, ma la ragione. E la ragione, con i suoi metodi, di certo non lo trova. La ragione prende l’iniziativa in mano e dichiara: «Io so meglio di tutti come fare!», senza prestare ascolto alla debole voce dell’anima. Invece bisogna fare il contrario: cessare di cercare il fine. Che il fine si cerchi pure da solo. La ragione non può “inventare” niente. Compito della ragione sarà non quello di cercare ma solo quello di mettersi in ascolto dell’anima. Quando si troverà qualcosa di opportuno l’anima si risveglierà e lei lo sentirà benissimo. Ma per far ciò dovrà allargare il suo orizzonte: andare dove non è mai stato, guardare cose mai viste. Altrimenti come farà l’anima a scegliere, se da scegliere non c’è nulla?


«Può considerarsi un fine un matrimonio felice? (non intendo con ciò dipendenza materiale dal marito).


Ancora una domanda: posso attirare nella mia vita una persona se io ritengo di poter stare bene con questa persona anche se praticamente non la conosco?».


Un matrimonio felice non è un fine ma un mezzo per il raggiungimento di qualcosa. Di che cosa precisamente, è una questione individuale. Che cosa trasformerà la sua vita in festa: il matrimonio di per sé o i dividendi che lei pensa di ottenere dal matrimonio? La formulazione giusta dell’ordine è un aspetto molto importante. Quando lei lavora con la diapositiva del fine, l’intenzione esterna le apre le porte che la conducono alla sua realizzazione. Il cammino verso il fine verrà scelto a seconda del contenuto della diapositiva.


Guardi allora cosa le succede: lei definisce il cammino fin dall’inizio (il matrimonio), limitando in questo modo la scelta dell’intenzione esterna. La sua ragione è convinta di conoscere il cammino. Converrà con me che la frase: «[…] io ritengo di poter stare bene con questa persona anche se praticamente non la conosco?» suona un po’ ingenua.


«Mi è sempre piaciuto molto occuparmi della casa e dell’educazione dei figli. Ho sempre creduto che fosse il mio posto nella vita. Sto bene e sono tranquilla quando mi occupo della casa e dei bambini. Ne ho tre. Mio marito mi capisce anche se, francamente, non so se mi capisca veramente. La sua posizione è che io posso fare tutto quello che mi piace, perché lui vuole che io stia bene. Anch’io penso così nei suoi confronti. Vorrei crescere i miei figli in questo spirito, crescerli e “lasciarli andare”. Per nulla al mondo vorrei fissarmi su di loro e pressarli col mio amore, come se fosse un carro armato. Prima ancora di leggere i suoi libri sono arrivata alla conclusione che l’amore è l’arte di dare. Il mondo esterno però mi fa una continua pressione. Quando i miei conoscenti la domenica sera sospirano desolatamente, dicendo che l’indomani devono andare al lavoro, mi trovo costretta a tacere, perché io non lavoro, seguo i bambini e non posso dire che la cosa mi rattristi, anzi. È difficile con tre figli piccoli, ma è anche così bello! In generale sono una persona costantemente felice, a volte ho qualche caduta, ma in generale vivo la maggior parte del tempo sentendomi felice.


Quando ero piccola mia mamma mi diceva sempre (e il mondo esterno lo confermava) che una persona deve saper fare qualcosa. Io tra l’altro qualcosa so fare: sono laureata in matematica, e mentre vivevo all’estero ho conseguito un diploma in ragioneria. Insomma, qualcosa so fare, potrei fare, le capacità ce le ho, però non ho alcuna voglia di andare a lavorare. Il pensiero di andare a lavorare non solo mi causa un malessere interiore, ma arriva addirittura ad angosciarmi.


Tutte le mie amiche cercano di uscire di casa perché si inebetiscono a seguire i bambini. Per me invece è diverso. Mi chiedo cosa ci sia di sbagliato in me, forse sono io che non sto andando dalla parte giusta, forse fra un po’ di tempo, voltandomi indietro mi dirò: “Accidenti! Dovevo fare qualcos’altro”.


Ci sono due direzioni che potrei seguire, che mi piacciono, ma siccome tutto il tempo va nei bambini, il resto viene messo da parte o viene fatto a singhiozzo…


Però sento che sto facendo la cosa giusta, e con il massimo piacere. Questo è meraviglioso, certamente, ma cosa sto facendo per me? Ho delle idee, ma quanti anni avrò quando potrò realizzarle? L’attività febbrile delle persone che mi stanno intorno e le pressioni che mi fanno i miei familiari (ora rare, perché col tempo ho imparato a mandare elegantemente i consiglieri “a quel paese”) mi costringono a volte a provare un forte senso di inferiorità. Tutti aspirano a raggiungere qualcosa, io invece no.


Ecco la mia domanda: dal punto di vista del Transurfing, può il fine essere rappresentato dalla famiglia, dall’educazione dei figli? O il fine è qualcosa di più vicino allo sviluppo personale, alla realizzazione di se stessi e delle proprie capacità?».


La si può solo invidiare. A differenza di tutti quelli che corrono febbrilmente verso un punto d’arrivo, dove dovrebbe attenderli un futuro di felicità, lei ha già questa felicità, nella linea della vita in cui si trova.


La domanda è stata posta in modo inesatto. Nessuno e da nessun punto di vista può decidere al posto suo cosa può essere considerato il suo fine e cosa non lo può essere. Esiste solo una definizione astratta: il fine è ciò che trasforma la vita in festa. Ma cosa trasformi la vita in festa, non ha alcuna importanza. La festa nel cammino verso il fine dev’essere quotidiana: «Il lunedi comincia il sabato»2, non è vero? Quindi, ci si può forse orientare su coloro che sospirano desolatamente la domenica sera?


Non dubiti. Non solo lei ma tutti intorno a lei si chiedono se sono sbagliati. Ma si fanno subito coraggio, dicendo: «No, sto andando al passo con gli altri, faccio tutto quello che fanno gli altri, quindi è tutto a posto». E per rafforzare il proprio senso di sicurezza faranno il possibile per consigliarle di seguire il cammino giusto, per attirarla nei ranghi comuni. In questo caso lei dovrà trovare sostegno non nell’opinione altrui ma proprio nella presa di coscienza che la vera festa della vita la sta vivendo lei, non gli altri.


E un nuovo fine si può cercare a qualsiasi età. La chiarezza di visione delle vera realtà che si coglie nella sua lettera testimonia del fatto che lei si è svegliata, è uscita dallo specchio. Il risveglio nel sonno schiude enormi possibilità in ogni sfera, come per esempio la scrittura… di cui occuparsi non è mai tardi.


«Da quasi un anno sto mettendo in pratica i principi del Transurfing e vedo già dei risultati. Però c’è un problema: non riesco a trovare il fine della mia vita. Ogni volta che rifletto e mi metto in ascolto della voce della mia anima capisco con orrore che mi piacciono veramente solo alcune cose: il sesso, l’alcool e i videogiochi. Questo nonostante io abbia 33 anni. Come raggiungere il benessere materiale attraverso questa strada non posso proprio immaginarmelo. Ho sempre fatto (e faccio tutt’ora), un lavoro che non mi piace, e spendo un sacco di energia a lottare contro me stesso. Se lei mi aiuterà e io troverò il mio fine, le sarò molto grato».


Solo lei è in grado di trovare il suo fine. Io posso solo proporre un algoritmo d’azione orientativo.


Punto primo. Punto di partenza nella ricerca è il postulato: il suo fine le attirerà tutto quello che le serve nella vita. In questo senso tutte le considerazioni sul tema “voglio ottenere questo e quest’altro” cadono da sole. Otterrà tutto quello che la sua anima desidera, basta solo trovare la strada giusta.


Punto secondo. In generale lei deve capire: cosa ama (può amare) fare, di cosa si vorrebbe occupare? Non intendo dire cosa ottenere (questo l’abbiamo già chiarito) ma proprio di cosa si vorrebbe occupare, in cosa vorrebbe spendere la sua energia d’intenzione. Occorre capire che il fine non è un punto d’arrivo ma un percorso esistenziale, un modo di autorealizzarsi.


Punto terzo. Deve porsi la domanda: Quest’occupazione trasformerà la mia vita in festa? Per festa qui non si intende una cerimonia solenne in occasione dell’arrivo al punto di destinazione, ma la sensazione di una festa che è “sempre con te”. Questa sensazione sorge quando la vita diventa consapevole, piena, interessante, viva e gioiosa.


Punto quarto. La decisione dovrà essere presa nell’unità di anima e ragione, quando l’anima canta e la ragione si frega le mani soddisfatta. Ciò significa che per lei dovrà essere scontato che l’occupazione prescelta è cara al cuore, riempie la vita e non la lascia in condizioni di miseria. Per esempio, se lei avesse una passione per i ricami a punto croce, non significa che ciò possa essere il suo fine. La ragione non sarebbe d’accordo, non crede?


Punto quinto. Se per il momento, tra le occupazioni che lei ha preso in considerazione, non ci sono candidature accettabili, provi a guardare al suo passatempo “non serio” sotto un altro punto di vista. Tutto ciò che si fa con disinvoltura e piacere ha un significato e un valore preciso. Per esempio, la passione per l’alcool potrebbe trasformarsi in una specifica professione, quella di produttore di vini o di sommelier. Le piacciono i videogiochi? Provi a inventare un suo supergioco, qualcosa che il mondo non ha mai visto, magari non necessariamente nel campo dei videogiochi. Potrebbe ideare, per esempio, uno sconvolgente reality-show.


Il sesso? Provi a chiedersi: “Cosa manca alla gente in questa sfera, di che cosa ha bisogno?”. Di esperienza, di nuove conoscenze, di nuove emozioni? Potrebbe, per esempio, imparare una qualche tecnica particolare e fondare una sua scuola. O organizzare un’agenzia matrimoniale diversa dalle solite, che non si inscrive negli standard comuni di questo tipo di attività. Volendo si può arrivare a creare qualcosa di inimmaginabile. Il principio fondamentale è quello di uscire dai ranghi comuni e andare per la propria strada. Creare un proprio pendolo, una propria religione.


Punto sesto. Se non le viene in mente niente di interessante, dovrà allargare i suoi orizzonti: andare dove non è mai andato, visitare quello che non ha mai visto. Il compito della ragione nel processo di ricerca del fine non è tanto cercare quanto filtrare tutte le informazioni provenienti dall’esterno, prestando una particolare attenzione allo stato di benessere interiore. Non appena l’anima vedrà “qualcosa di Suo”, si riscuoterà e lei lo percepirà senz’altro.


Punto settimo. Occorre visualizzare la diapositiva della festa della vita. Si immagini un quadro che contenga tutti gli attributi della sua festa (yacht, macchine, club e tutti gli altri giocattoli cui l’anima aspira). Di che cosa dev’essere piena la sua vita? Cerchi, studi bene gli attributi che le servono, li misuri con l’intenzione di ottenerli in breve tempo. Lavori con questa diapositiva sistematicamente e allora l’intenzione esterna aprirà le sue porte, le offrirà possibilità che non sospetta neppure. Proprio questo punto è il più efficace nel processo di ricerca del fine. Esso permette di vedere una via d’uscita lì dove apparentemente non può esserci.


«Mi distinguo per le mie profonde capacità analitiche. Per questo motivo, dall’età di tre anni, mi sono immaginato di essere di tutto: un meccanico, un fisico, un chimico, un programmatore, uno psicologo, uno scrittore, un esoterico. Ho sempre avuto il desiderio di governare il mondo e ho sempre sentito dentro di me tutte le sensazioni di cui parla lei: l’anima che canta, la ragione che si frega le mani per la soddisfazione, l’ispirazione che fluisce incessantemente. Ho costruito meccanismi con giocattoli rotti, ho fatto esperimenti di chimica e fisica, ho scritto programmi e racconti, ho lavorato con la gente, mi sono dedicato alla meditazione. Ogni volta, però, dopo essere arrivato a un determinato limite, finivo per perdere interesse verso la mia passione. Andava tutto bene finché vivevo con i miei genitori. Passata una passione, mi occupavo di qualcos’altro di nuovo, dedicandovi tutto il mio tempo. Ma con il matrimonio e la nascita di mio figlio è cambiato tutto, sono subentrate altre priorità, come guadagnare i soldi per la famiglia, considerato anche che mia moglie non lavora e sta a casa con il piccolo.


Attualmente mi occupo di pubblicità, ho un incarico direttivo che mi porta tanti soldi e che per questo motivo non posso lasciare. I soldi ora, come si dice “vanno”, forse perché per me hanno perso importanza. Solo di rado mi posso occupare di quello che mi piace veramente e per cui ho sicuramente un talento, cioè il copyright e l’attività creativa. Quasi tutto il mio lavoro è occupato dal disbrigo del lavoro amministrativo, fondamentale per guadagnare soldi.


Del resto non posso mollare tutto e occuparmi solo di quello che mi piace (anche se sarebbe logico). I copyrighters e i creativi, sono in Russia il segmento peggio pagato e maggiormente “a rischio” tra i lavoratori della sfera pubblicitaria. E anche all’estero la situazione non è di molto migliore. Cioè, dal punto di vista della carriera, è una strada che non porta più da alcuna parte. La mia famiglia è già abituata all’agio, io stesso non voglio ritrovarmi in povertà, a contare i soldi. A me i soldi servono per la mia crescita personale e i suoi annessi e connessi. A mia moglie i soldi servono per vivere bene. Ma io non “posso più darmi in affitto” perché non capisco a cosa serva?! Sento fisicamente le proteste della mia anima contro ogni istante della mia vita, disperso nel lavoro amministrativo».


Certo, non è molto piacevole darsi in affitto. Del resto nessuno ha mai detto che il cammino verso il fine sia un cammino cosparso di rose. E poi, dov’è la garanzia che la passione per il copyright, di cui lei parla, non finisca per annoiarla, come le è successo con le precedenti? L’unica cosa che si può dire con certezza è che, se si tratta veramente del Suo fine, non la dovrebbe annoiare, non molto presto, quanto meno.


Visto che le cose stanno così, come lei racconta, la invito a seguire un esempio di cammino verso il fine, la mia esperienza personale.


Come ho già scritto nei libri del Transurfing della realtà, il fine mi è arrivato per caso, in un sogno (anche se “le casualità” non esistono).


Ho scritto i primi tre libri al computer in un regime pesante, mentre lavoravo come amministratore di sistema in una grossa azienda dove ogni quindici minuti venivo distratto per i motivi più disparati. In questo contesto, per guadagnarmi da vivere (darmi in affitto), ero costretto a inserirmi e disinserirmi in velocità. Mi salvava il fatto che ricevevo informazioni in flusso continuo, anche se però questo succedeva nei momenti e nei posti meno adatti. Proprio per questo ho avuto l’idea di portare sempre con me un quaderno. In questo quaderno annotavo i brani di informazioni ogni volta che mi arrivavano in testa. Di questi brani, nel tempo, se ne sono accumulati tanti. Ancora oggi conservo i miei quaderni di channeling. Ora, guardandomi indietro, faccio fatica a immaginare come abbia potuto comporre tutti questi frammenti in un unico sistema.


Quando avevo appena iniziato a lavorare sul libro, la mia ragione si chiedeva: “Perché lo sto facendo?”. Ad analizzare bene la questione, infatti, risultava che: in primo luogo la scrittura non è un lavoro facile; in secondo luogo anche gli autori, per dirla con le parole che lei ha usato nella sua lettera, sono forse in assoluto il segmento di lavoratori “più a rischio”; in terzo luogo diventare autore, cioè trovare un editore, è in generale una cosa piuttosto problematica; in quarto luogo, nel campo dell’esoterismo sono già stati scritti tantissimi libri, e impressionare qualcuno scrivendo qualcosa di nuovo è praticamente impossibile; in quinto luogo restava da capire chi avrebbe letto i miei scritti; in sesto luogo si sa che solo pochi autori ottengono un onorario dignitoso.


Le prospettive che mi stavano di fronte non erano certo molto promettenti, non è vero? Un passo nell’ignoto, niente di più. Non a caso negli ambienti degli scrittori si è ben radicato uno slogan pessimistico: se puoi non scrivere, non scrivere.


Fortunatamente sapevo cos’era il Transurfing e come funzionava, perciò me ne sono fregato degli stereotipi dei pendoli e sono andato avanti per la mia strada.


Ebbene, vediamo un po’: con quale stato d’animo scrive libri uno scrittore principiante? Con uno stato d’animo pieno di speranza! Al contempo, però, vive con il timore che il libro non trovi né un editore disposto a pubblicarlo né, ovviamente, dei lettori. Presti ben attenzione a questo passaggio: l’autore guarda lo specchio del mondo sperando di vedervi riflesso il risultato desiderato. Non avendo una fede incrollabile (e da dove gli potrebbe venire questa fede, considerando lo stereotipo corrente?), è pronto ad agire sul riflesso, ovverossia a pubblicare a proprie spese.


Dal punto di vista del Transurfing sperare è veramente un atto senza speranza. In realtà, in barba al “buon senso”, bisogna fare esattamente il contrario: non guardare lo specchio ma se stessi, e formarsi il riflesso giusto con l’aiuto della propria intenzione. Per questo motivo il mio stato d’animo, allora, era esattamente il contrario. Mi dicevo: non voglio e non spero. Sono intenzionato.


Il mio fine non era quello di scrivere semplicemente un libro che, se avessi avuto fortuna, avrebbero pubblicato. No. Il mio fine era quello di scrivere un best-seller mondiale, né più né meno. Sennò, che senso avrebbe avuto occuparsi di scrittura? Alla mia anima l’idea era piaciuta, e alla ragione pure. Non rimaneva che realizzarla, utilizzando i metodi del Transurfing.


Sistematicamente, ogni volta che mi ricordavo del fine (e me ne ricordavo spesso) visualizzavo la mia diapositiva del fine, cioè: “Il Transurfing è un best-seller mondiale, il mio libro viene tradotto in molte lingue, con milioni di tirature, è al vertice delle classifiche”.


Oltre a ciò, visualizzavo continuamente il processo, constatando con convinzione il pensiero-forma: “Scrivo in modo efficace e forte, in modo tagliente e coraggioso, chiaro e insolito. Il mio libro impressiona i lettori, sono un genio, la Forza mi guida e sto creando un best-seller”. Perché essere modesti? Il risultato è pari all’intenzione. Se si deve fare un ordine, lo si deve fare al massimo. Capisce quanto quest’approccio fosse distante da quello di un autore principiante, che si mette fin dall’inizio in una posizione di modesto questuante? L’intenzione e la speranza sono due cose completamente diverse.


In conclusione ho ottenuto quello che avevo ordinato. Forse non proprio tutto fino in fondo, comunque ci sono andato molto vicino. Cos’avrei ottenuto se avessi scritto così, tanto per fare, senza una forte intenzione? Probabilmente non avrei ottenuto niente di eccezionale.


Quando finii di scrivere il manoscritto, è subentrata la seconda tappa della realizzazione del mio fine: la ricerca di un editore. Spedii la mia proposta a una ventina di editori, i più grossi. I mesi passavano nel silenzio più assoluto. In generale, il periodo in cui non succede niente, è il periodo più perfido. La speranza sfuma e la disperazione comincia a offuscare i pensieri. Se però al posto della speranza c’è l’intenzione, non c’è niente che possa sfumare. A dire la verità (perché lo dovrei nascondere?) in quel periodo la mia ragione veniva a volte minata da una fugace debolezza. Pensavo: “Possibile che il Transurfing non funzioni?”. Fortunatamente mi risvegliavo presto, dicendomi che non è affar della ragione sapere in che modo e quando il fine verrà realizzato. Compito mio era solo trasmettere allo specchio del mondo la mia intenzione.


Ma come farlo? Di nuovo aspettare e sperare? Se avessi scelto di fare così, lo specchio avrebbe trasmesso il fatto stesso dell’attesa e della speranza e niente di più. Bussare alle porte delle case editrici? No di certo. Se avessi disegnato l’immagine “sto cercando un editore”, allora anche nel riflesso si sarebbe visto “sì, lo stai cercando”, e niente di più.


L’immagine deve contenere dentro di se quello che si vuole ottenere nel riflesso. Cercare di influire sul riflesso (nel mio caso specifico, cercare attivamente un editore o pubblicare a mie spese) è non meno assurdo, è un lavoro dell’intenzione interna. L’intenzione esterna, invece, funziona in modo tale che il mondo ti viene incontro ma lo fa a condizione che, davanti allo specchio, si dimostri come ciò deve essere. Per questo motivo allora mi creai quest’immagine: l’editore mi trova da solo. Certo, oltre alla diapositiva metafisica, bisogna intraprendere qualche azione anche nel mondo fisico: muovere le gambe e andare incontro allo specchio. Per effettuare questo movimento mi servii di Internet: creai un sito e cominciai a piazzare i capitoli del libro nel mailing subscribe.ru. Ebbene, il Transurfing riscosse in Internet un’attenzione che nemmeno mi aspettavo, nonostante la mia intenzione fosse orientata proprio verso questo risultato. A dire il vero è piuttosto difficile mettersi in mostra nel Web. Ci sono navigatori esperti, che non si lasciano coinvolgere facilmente. E poi, è davvero possibile influire con la propria intenzione sull’opinione pubblica? La mia ragione a lungo non ci poteva credere. Per verificare questo fatto sperimentalmente, decisi di fare ripetutamente una prova interessante. Per una settimana lavoravo con la seguente intenzione: “Il Transurfing occupa i primi posti nella classifica dei best-seller”. Poi smettevo e seguivo le classifiche. Ebbene, risultava che la correlazione tra la mia intenzione e le posizioni in classifica era del 100%! I libri o salivano ai primi posti o scendevano agli ultimi. E quando smettevo di trasmettere la mia intenzione uscivano addirittura dalla classifica. Con questo non voglio dire che solo la volontà decide gli eventi, ma solo sottolineare quanto comunque sia grande la sua forza! È un fatto che mi scolvolge ancora adesso. La ragione fa una gran fatica ad abituarsi ai miracoli del Transurfing. Dunque, è finita che su Internet si alzò un’onda che gli editori non potevano non notare. Dopo solo sei mesi cominciai a ricevere proposte. Forse per qualcuno si tratta di un periodo di tempo enorme, ma pensi solo che ci sono autori che attendono anni, e a volte anche senza successo.


Nel periodo in cui non succede niente è molto importante mantenere un’intenzione incrollabile e non interrompere il lavoro con la diapositiva del fine. Non si può sapere quando si aprono le porte, giacché non si vedono i movimenti nello spazio delle varianti. Una cosa bisogna sapere con fermezza: le porte si apriranno sicuramente.


Davanti a me allora si aprirono anche le cosiddette “altre porte”, quelle che di solito si chiudono davanti al naso. Un grosso editore, per esempio, all’inizio dimostrò interesse per i miei lavori e per un po’ di tempo oscillò tra il “sì” e il “no”. Alla fine però mi disse: «Si, c’è qualcosa di interessante nel Transurfing…però non serve a nulla». Proprio così. Se le porte si chiudono non bisogna assolutamente scoraggiarsi. Non si può prevedere in che modo debba essere realizzato il fine. Solo adesso so che il mio libro si è scelto da solo la porta giusta.

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